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Intervista agli Aerosmith 1999

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PinkRockVanilla
view post Posted on 2/3/2010, 22:58




I media europei sono ospiti di Mr. Al Fayed: l’occasione è la conferenza stampa che gli Aerosmith hanno deciso di tenere nei suoi grandi magazzini “Harrod’s”, nel cuore di Londra, per presentare la parte europea di un tour mondiale che dura da un paio d’anni abbondanti. Li attendono centinaia di fans, solo quei pochi che sono riusciti (sopportando una coda e un’attesa di circa otto ore) a mettersi in fila all’interno per farsi autografare libri e dischi al termine dell’incontro con i giornalisti.
Steven Tyler, Joe Perry, Brad Whitford, Joey Kramer e Tom Hamilton non sfuggono alla regola che vuole le autentiche rockstar degli anni Settanta straordinariamente datate: sono sgargianti e, forse anche inconsapevolmente, prede del complesso di Peter Pan. Ma, grazie a Dio, non siamo di fronte a cinque mummie: al contrario, pur destando legittimi sospetti i colori dei loro capelli (troppo biondi o troppo scuri, a seconda…), gli Aerosmith ci colpiscono per l’aspetto sano e l’ottima forma.
La risposta americana agli Stones sta molto meglio degli originali e, una volta a portata di mano, oggi è più facile capire perché li etichettarono come “the great American hometown band” anziché il motivo per cui Tyler e Perry si meritarono in pieno l’appellativo di “Toxic Twins”. Uno in lunga camicia scura a pois, l’altro in sfavillante giacca rosso carminio, sono andati e tornati dall’inferno almeno un paio di volte a testa, ne sono usciti senza capire bene come e, dalla seconda metà degli anni Ottanta, si sono ripresi lo scettro di padroni del rock and roll a stelle e strisce che, con l’avvento dell’era di MTV, era stato appaltato in parti non uguali a Guns N’ Roses, Motley Crue e Bon Jovi (come dire: al massimo ci si può fare carico di uno solo degli elementi che, opportunamente mescolati, danno gli Aerosmith). Sono tornati ad essere una perfetta macchina da rock e da soldi, la stessa che – impassibile - ha attraversato i corpi di centinaia di ragazze, assunto montagne di additivi letali, sperperato decine di milioni di dollari, giocato a dadi con un talento reso schiavo dalle droghe. Assorbita la botta che il movimento punk inferse a gruppi come il loro e il veleno che l’eroina era riuscita a sedimentare nei loro corpi, sono rinati. A oltre dieci anni da quell’incredibile resurrezione, il loro è ancora uno dei tre-quattro show dal vivo migliori al mondo.
L’attesa per vederli dal vivo al “Monza Rock Festival” cresce: nel frattempo, ecco il resoconto del botta e risposta tra band e giornalisti.

Come mai ricevete la stampa da Harrod’s?
«Mister Al Fayed, che ci ha regalato questi sigari, ha deciso di usarci come testimonial per la sua nuova strategia sulla sicurezza nei grandi magazzini…».

Correva voce che avreste suonato “Pink” proprio qui…
«In effetti volevamo farla, ma all’ultimo momento ci è stato impedito, perché avremmo causato problemi di ordine pubblico. Secondo alcuni avremmo addirittura messo in pericolo il nostro show di Wembley... E, comunque, c’era anche un problema di ordine burocratico: non ci hanno concesso il “work permit”, che serve agli stranieri per lavorare qui in Inghilterra. Che dire? Pink is like red. but not quite…».

Mentre ai concerti degli Stones accorre un pubblico formato da molti cinquantenni, agli Aerosmith continuano a toccare i sedicenni: perché, secondo voi?
«Ma che dite? Anche a Mick piacciono le sedicenni…! Scherzi a parte, non sapremmo: possiamo solo dire che continuiamo a cantare quello che sentiamo, ed evidentemente suoniamo giovanili. Stiamo ancora cercando di raggiungere le cose che volevamo all’inizio della nostra carriera: non ci siamo mai sentiti arrivati. Abbiamo sempre creduto che fare un album sarebbe stato fantastico e abbiamo ancora quell’entusiasmo. Il target degli Aerosmith resta lo stesso, ma continua a spostarsi in avanti... Adoriamo interagire con la folla, l’energia che si stabilisce tra pubblico e band è qualcosa di primordiale. Non crediamo in una routine di chi sale sul palco e fa i suoi 40’ e se ne va, il pubblico merita rispetto. Lo spirito di questa band esplode veramente quando suoniamo dal vivo».

Come preparate, invece, un album in studio?
«Quando prepariamo un disco esageriamo: solitamente abbiamo pronte almeno 25 canzoni, poi ne selezioniamo 16 delle migliori. Molti pezzi vengono lasciati fuori, ma riemergono dopo anni, come è successo per “I don’t want to miss a thing” di “Armageddon”, che avevamo scartato, abbiamo ripescato e si è trasformata in un mostro! Ma, per tornare alla domanda, vorremmo chiarire che siamo ormai ben lontani dall’idea che più sei famoso, più devi spendere per fare un album: noi vogliamo fare dischi come quando abbiamo iniziato a suonare».

Steven, che notizie hai di Liv?
«Liv è occupatissima. Attualmente sta girando tre film e sta anche preparando un album. Ha una carriera tutta sua, io non c’entro nulla. Dopo “Armageddon”, la sua carriera ha subìto una svolta. Ma credo che un giorno avremo l’occasione di fare qualcosa insieme. La verità è che con Liv ci vediamo quando possiamo, perché oggi è impegnatissima come lo ero io quando avrei dovuto esserci per lei. Si diplomava, ed ero in tour; compiva gli anni, ed ero in studio fuori città; era malata, ed io ero fuori di testa. Così accade che un giorno compio cinquant’anni e la chiamo: “Dai, celebriamo alla grande: dove vuoi andare? Alle Hawaii? Nei Caraibi?”. E lei: “Ehm, veramente ho da fare: sto finendo un film e ne inizio subito un altro… Mi dispiace, papà!”. Touchè! »

Sui media continuano a rimbalzare notizie di fantasmagorici concerti per il capodanno del millennio: che programmi hanno gli Aerosmith?
«Del millennio chi se ne frega? E’ una cosa assolutamente normale, anche irrilevante - c’è tanta altra gente che segue un calendario diverso... Non abbiamo ancora un impegno ufficiale per quella notte, però è certo che suoneremo: se non lavori a capodanno e sei un musicista, vuol dire che sei proprio nei guai... Dove andremo? Ma è ovvio, faremo segretamente quella “gig” segreta di cui parlano tutti i media... ».

A questo punto della vostra storia avvertite ancora il peso delle vostre influenze artistiche originarie?
«Le band che ci hanno maggiormente colpito agli inizi della carriera furono indubbiamente gli Yardbirds e gli Stones: furono entrambe una grande influenza per noi. Mick e il suo modo di ballare erano assolutamente la perfezione. Ci piacevano anche altri gruppi, come Animals e Kinks. Comunque, anche se abbiamo sempre analizzato tutte queste band, abbiamo sempre voluto fare per conto nostro e a modo nostro. Oggi siamo ancora grandi fans degli Stones, ai quali portiamo un enorme rispetto e dei quali e continuiamo a comprare i dischi».

Steven, quali sono le rughe più profonde del tuo viso, e da cosa originano?
«Le rughe più profonde della mia faccia sono queste (indicandosi quelle intorno alla bocca – n.d.r.) e derivano dal molto ridere e dal sesso orale».

Questo tour pare non finire mai: dove trovate la forza e l’entusiasmo?
«Siamo “on the road” da ben venticinque mesi, ormai. Il nostro motto è: don’t worry about sanity. Quello che ci tiene uniti è lo spirito che esiste tra noi e che abbiamo coltivato per oltre venticinque anni. Alla fine di un tour, quando torniamo a casa, abbiamo bisogno di due settimane solo per riprenderci dall’abitudine».

Vi piace l’ultimo degli Skunk Anansie?
«Mmhhh… Non l’ho sentito (Steven). Sto aspettando ancora la mia copia (Joe) ».

Steven, cosa faresti se non fossi insieme agli Aerosmith?
«Se fossi da solo forse farei dei film, ma mi sento solo senza la band. So solo che se non ci fossero gli Aerosmith sarei molto diverso».

Che tipo di persona sei?
«Sono molto vanitoso. La buona cosa di essere sposato e avere figli è che quando torni a casa la realtà ti sbatte in faccia. È diverso da avere migliaia di persone che ti adoravano fino a qualche ora prima. Sono due mondi completamente diversi. Ma, ripeto, sono molto vanitoso, e devo sempre tenerne conto. Quando sono in famiglia faccio cose normali con i miei: ci divertiamo, andiamo insieme a fare sci nautico o corse in macchina…».

Steven, ti ricordi un’esperienza assolutamente straordinaria che ti è capitata nella tua carriera?
«Beh, un mese fa eravamo in Texas durante il tour. Un giorno bussano alla porta della stanza dell’hotel dove eravamo riuniti, ed ecco quest’uomo in uniforme. E’ un comandante di una navetta spaziale, un astronauta. Brandisce un nostro greatest hits. Mi appresto ad autografarglielo, ma lui mi ferma: “No, Mr. Tyler. Questo è un souvenir per voi. E’ il disco che ho usato per allenarmi all’assenza di gravità e che ho ascoltato durante tutta la mia permanenza fuori dalla terra”. Pensare che la nostra musica sia andata così lontano, è un punto altissimo per noi. Anzi, mi ha fatto venire voglia di andare nello spazio».

Perché?
«Mah, forse perché siamo stati letteralmente nello spazio dal ‘69 all’86, e forse ho malinconia di tornarci... ».

(l’addetto stampa chiama l’ultima domanda: Steven grida: “Deve esserci qualche stupida domanda che morite dalla voglia di farmi, coraggio!”).
I Kiss hanno dichiarato di essere tornati insieme per soldi. E voi...?
(sospiro di Steven) «Yeah, we like money! Però sinceramente ci piace più suonare che il denaro - ecco perché ne abbiamo poco. Sapete cos’è un vero trip? Quando suoniamo in posti lontani come il Perù e i ragazzini ci fermano per strada e cantano a memoria pezzi che abbiamo scritto tanti anni fa nello scantinato di casa della madre di Joe! »

Fonte: www.rockol.it
 
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viale marx
view post Posted on 25/3/2011, 11:43




conoscevo quest intervista..molto bella.I Rolling Stones sono mummie rispetto agli aerosmith e poi basta con questa storia di steven che ricopia mick.Steven vocalmente a Jagger se lo mangia.
 
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1 replies since 2/3/2010, 22:58   1048 views
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